“Troverai te stesso se ti metterai a dipingere, se penetrerai nell’arte più profondamente di quanto tu non abbia mai fatto”.
Con queste parole Anton Mauve spronava il giovane Van Gogh alla sperimentazione cromatica, alla realizzazione del suo massimo potenziale artistico attraverso la ricerca del vero sé.
Mauve aveva intuito qualcosa che, più di un secolo dopo, la scienza ha cominciato ad indagare in modi sistematico: come la produzione artistica favorisca la crescita personale degli individui.
Questo approccio, che oggi si svincola faticosamente dall’essere considerato solamente olistico, ha origini antiche e composite. Se la teatro terapia si può far risalire alla Grecia classica dove, il coro rappresentava quella componente di collettività. fondamentale per il realizzarsi della finalità catartica in nuce in ogni scrittura, troviamo notizie di sedute di musicoterapia in vetusti manicomi arabi e non solo, questa forma terapeutica basata sui suoni venne ripresa da Philippe Pinel, un lungimirante professionista, che la implementò negli istituti di cura per malattie psichiche nel continente europeo.
L’Ottocento, con la sua vocazione positivista, si fece da portavoce d’istanze molto antiche rispetto all’uso terapeutico delle arti, ma fu senza dubbio il Novecento a dare corpo alle maggiori sperimentazioni e a gettare le basi per quella che diverrà una disciplina con piena dignità.
La riforma pedagogica che si stava sviluppando all’inizio del XIX secolo ebbe un ruolo fondamentale per le ricerche nel campo dell’arte terapia: Klee, Kandinskij, Itten e molti altri furono tra i primi a capire le potenzialità dello studio della produzione artistica infantile che, per definizione, è libera da condizionamenti . Tale “grado zero” diventava il punto di riferimento per lo studio delle successive sovrastrutture, culturali e non, che ogni essere umano crea nella sua visione di sé e del mondo, sia esso un soggetto a neurosviluppo tipico o atipico.
Parallelamente nel 1922 Hans Prinzhorn indagò l’arte nella psicopatologia, tramite lo studio della produzione artistica dei malati e pubblicò il volume “L’arte dei folli” che con buona probabilità ispirò Dubuffet nello sviluppo dell’Art Brut, aggregato artistico dove gli artisti erano persone ai margini della vita sociale e della salute mentale.
Il termine Art Therapy venne coniato nel 1942 dal pittore inglese Adrain Hill il quale, durante la convalescenza presso un sanatorio inglese, realizzò che la pittura era un’ottima facilitatrice della guarigione. Questa sua intuizione piacque al personale sanitario che la estese ad altri pazienti con risultati incoraggianti, da questa esperienza Hill, tre anni dopo, scrisse “Art Versus Illness“, ancora oggi un importante testo di riferimento.
Tre donne, tutte di cultura ebraica, avranno un ruolo fondamentale nella storia della nascita dell’arte terapia come disciplina: Friedl Dicker Brandeis, Edith Kramer e Margaret Naumburg. Alla prima va il merito di aver accolto la lezione di Franz Cizek e di averla rielaborata nel contesto dei programmi artistici per i bambini dando i natali al prototipo della pedagogia dell’arte. Brandeis ebbe come suo principale mentore Johannes Itten, il quale inseriva nelle proprie lezioni elementi che favorissero la meditazione sullo sviluppo spirituale degli allievi, tramite esercizi di respirazione, movimento, vocalità e relazione tra pari
Kramer e Naumburg saranno le fautrici di laboratori artistici per bambini di fasce di popolazione svantaggiati: ebrei fuggiti dalle persecuzioni e indigenti locati nei sobborghi americani, quando anche loro dovettero abbandonare la madrepatria per non soccombere alla furia nazista.
Entrambe portarono queste esperienze nel mondo della neuropsichiatria infantile. Naumburg coadiuvò le proprie competenze nel campo della psicologia con quelle della sorella Florance Cane, maestra d’arte; le due sorelle elaborarono uno dei primi approcci specifici all’arte terapia stimolando la comunicazione simbolica tra paziente e terapeuta.
Le immagini sgorgate dalla psiche dei soggetti in esame si presentavano come istantanee della lor loro mondo interiore, di quell’inconscio così caro a Freud e così difficile da sondare.
Nel 1976 Edith Kramer compie il cammino tracciato dalla Naumburg fondando il programma per l’insegnamento dell’arte terapia presso la New York University.
In Italia i primi laboratori vennero implementati all’ospedale psichiatrico di San Giacomo alla Tomba di Verona, ma per poter parare di arte terapia in senso pieno dobbiamo attendere gli anni Settanta del Novecento con Franco Basaglia e l’attuazione del modello fenomenologico che mira al recupero delle potenzialità dell’individuo e definisce le diversità come potenzialità e non come limite dell’individuo.
Ad oggi, in Italia, l’arte terapia viene proposta come una tecnica riabilitativa finalizzata alla riduzione degli handicap psicofisici.
Un caso particolarmente interessante è stato quello di Genova dove, presso l’ospedale psichiatrico di Quarto, lo psichiatra Antonio Slavic, ha coinvolto diversi artisti professionisti e critici d’arte come Miriam Cristaldi, Gianfranco Vendemiati e Margherita Levo Rosenberg. I laboratori presso la struttura ospedaliera hanno visto l’avvicendarsi di personalità artistiche quali Serena Olivari e Alfonso Gialdini.
Volendo fornire una panoramica sintetica ma esauriente sulle arti terapie integrate oggi si possono enumerare i principali campi di applicazione che vanno dal teatro, alla musica, alla danza, alla fotografia per arrivare alle arti plastiche e figurative.
Lo scopo non è quello dell’elaborazione di prodotti permanenti di gusto o buona fattura ma si realizza nella capacità di esternare il proprio mondo interiore, come un moderno esorcismo.
Il rapporto tra l’esecutore e la propria opera non è inficiata dalla ricerca del consenso o della fama ma, al contrario, si tratta di un soliloquio dove la psiche, spesso soverchiante nei soggetti con problemi psichici, trova nell’elaborazione artistica il suo doppio, il suo specchio, Diversamente dalle teorie junghiane, però, questo riflesso artistico della mente umana, non è minaccioso o foriero di presagi oscuri, ma al contrario, è un alleato per risalire le pareti insicure del nostro equilibrio psicofisico.
Il rapporto tra l’arteterapeuta e i pazienti è, spesso, legato ad una dimensione collettiva in quanto, tra le finalità della disciplina, c’è quello di sviluppare la relazione tra pari per migliorare le proprie attitudini sociali ed interpersonali oltre che alla visione positiva del proprio sè, scardinando il giudizio come strumento per sondare la realtà propria ed altrui.
Vengono spesso prediletti materiali di scarto, laboratori che potremmo definire di riciclo creativo, ma c’è di più: i materiali tornano ad avere dignità e funzione così come i loro demiurghi che, ostacolati da disturbi di varia natura, tornano a credere nel proprio valore.
Così le arti terapie integrate possono coadiuvare percorsi di riabilitazione di tipo cognitivo comportamentale, psico comportamentale, disturbi del sonno, demenze e sindrome di Alzheimer, dipendenze e aiutare nell’accompagnamento del fine vita.
Un caso emblematico è quello che vide come protagonista Frida Khalo che, piegata dalla malattia e dalla sofferenza, indugiava spesso in pensieri autodistruttivi e nichilisti. Olga Campos, psicologa e amica della pittrice messicana, le consigliò la sperimentazione del mandala, da usare come strumento per esprimere le proprie emozioni, ne nacque la serie “Emozioni”. Il mandala e le sue declinazioni sono ad oggi ampiamente studiati ed usati nei contesti di riabilitazione.
Khalo aveva trovato anche un suo particolare modo per domare i suoi demoni: l’autoritratto, che lei ammantava di gusto onirico. Questo strumento è di primaria importanza anche nell’arte terapia, lo stesso Borges ci suggeriva come: “(…) sulla calce di un muro che nulla ci vieta di immaginare come infinito (…), scopre che quel vostro guazzabuglio di linee è il disegno del suo volto”
Le arti visuali con le arti terapie superano sé stesse ma non per il gusto di stupire a tutti i costi o per un insensato (ormai) sogno di avanguardia, ma per diventare cura, processo di consapevolezza e ancora di salvataggio.
Valentina Paolino
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