In questo primo nostro viaggio nelle città del passato, ci spostiamo dall’altra parte del mondo, a Tokyo, sede in questi giorni dei giochi olimpici 2020. La conosciamo tutti con i suoi grattacieli, le sue torri, la frenesia della vita urbana, con il famoso incrocio pedonale, tra i più affollati al mondo, la sua immagine moderna e ultra tecnologica. Oggi è una delle metropoli più popolose e grandi del pianeta, ma non è sempre stata così, soprattutto il suo aspetto nei tempi antichi era ben diverso: era l’aspetto del vero volto del Giappone. Ed è proprio nella vecchia Tokyo, o meglio, Edo, che ci addentreremo per capire com’è nata e come appariva secoli fa la città che ora è quasi del tutto scomparsa.
Edo, o Yedo/Jedo, chiamata così fino alla metà del XVIII secolo per la pronuncia dell’antico ideogramma
usato per scriverne il nome, era all’inizio un piccolo villaggio di pescatori sulla costa sudorientale dell’isola di
Honshu, nella regione del Kanto (ricordo che il Giappone è un arcipelago formato da 6.852 isole, le cui
principali sono le 4 maggiori: Hokkaido a nord, Honshu l’isola centrale più grande, Kyushu e Shikoku, con l’aggiunta della quinta, Okinawa). I primi insediamenti risalgono al 1180, anno in cui è attestata la nascita di Edo, il cui nome significa “entrata nella baia o nell’estuario” e prende il nome probabilmente dalla residenza edificata nel villaggio da parte del guerriero Edo Shigetsugu, proprio alla fine del XII secolo. Il dominio sul piccolo abitato e sul territorio circostante viene mantenuto dai suoi discendenti, sino al 1457, quando il potente daimyo (signore feudale), Ota Dokan (1432-1486), conquista il villaggio trasformandolo in una cittadella fortificata ed erige il castello di Edo per il potente clan Uesugi, antica famiglia proveniente dall’antica provincia di Musashi. Durante l’epoca successiva, nel periodo Sengoku intorno alla metà del XVI secolo, il clan Uesugi viene sconfitto dagli Hojo, originari della provincia di Sagami e ottengono il controllo della cittadina. La famiglia rimane al potere sino al 1590, quando nel tentativo di riunificare il Giappone in un unico dominio, il potente daimyo Toyotomi Hideyoshi conquista la città dopo l’assedio di Odawara, strappandola agli Hojo e segnando una tappa fondamentale verso l’unificazione del paese. Nello stesso anno, dopo la vittoria sui vari signori feudali, aiutato da Oda Nobunaga e Tokugawa Ieyasu, Hideyoshi propone a quest’ultimo di stabilirsi a Edo e quest’ultimo accetta. Con l’avvento dei Tokugawa, inizia la trasformazione del villaggio nella più grande metropoli del mondo di allora, che sarà sede del governo del Giappone per più di 260 anni.
Diventa talmente importante nel giro di pochi anni da dare il nome al periodo storico in questione, chiamato periodo Tokugawa (Tokugawa Jidai) o periodo Edo (Edo Jidai) dal 1600/1603 al 1868. Questo successo è da attribuire al genio politico di Ieyasu, che dopo aver supportato Hideyoshi nelle lotte contro gli altri signori
feudali, una volta stabilitosi a Edo, matura l’idea di unificare il Giappone sotto il suo dominio e pochi anni dopo, riesce a formare una coalizione di daimyo che si oppone ai signori alleati dei Toyotomi, guidati dal reggente principale del figlio minorenne di Hideyoshi, Ishida Mitsunari. Lo scontro decisivo avrà luogo a Sekigahara, il 21 ottobre 1600 e si conclude con la vittoria di Ieyasu che porta a compimento così il progetto di creare un paese unito. E tre anni dopo, nel 1603, viene nominato shogun (capo militare o comandante
dell’esercito) dall’imperatore Go-Yozei, iniziando il suo dominio sul Giappone e trasformando la sua sede Edo, in una delle più floride città del mondo, centro politico, economico e militare del paese, anche se la sede imperiale rimase nella capitale Kyoto.
Con l’istaurazione del potere dei Tokugawa, la città inizia a crescere accogliendo le classi dirigenti, gli alleati più stretti dello shogun, artigiani, mercanti e il popolo che abitava nella cosiddetta Città Bassa (Shitamachi), che si estendeva ad est verso il fiume Sumida. Si presenta con una struttura particolare, che vede al centro il castello con le mura di cinta e tutt’intorno le abitazioni, protette non dalle fortificazioni del forte, ma da una rete di fossati a spirale, che dal centro si srotola allargandosi man mano che la città cresceva. Per fare questo, sin dall’inizio si lavora per deviare un fiume a ovest di Edo, il Tama. che dopo un anno di lavori, giunge in città ad alimentare i suoi canali, fossati e reti fognarie. Fu un vero e proprio capolavoro di ingegneria, soprattutto a
causa del terreno morbido, che porta il centro urbano a fare delle vie fluviali, le principali vie di comunicazione sia interne che esterne. Grazie ad essi, tutta la città poteva rifornirsi di cibo, di beni di prima necessità e di qualunque tipo di merce, che velocemente veniva anche portata nei mercati di tutto il paese e inoltre, rendeva Edo difficile da prendere e da assediare in quanto canali e fossati, erano duri ostacoli da superare per arrivare al castello posto al centro.
Edo deve dunque il suo sviluppo all’acqua, un po’ come la nostra Venezia e anche alla politica di Ieyasu che per controllare i vari signori feudali a lui sottoposti, emana la legge detta Sankin kotai (presenza alternata) con la quale tutti i daimyo sono obbligati a costruire una casa a Edo, dove risiedevano la moglie e l’erede, in sostanza come ostaggi, a garanzia della fedeltà dei mariti, mentre questi potevano tornare nelle loro terre.
Questa “migrazione volontaria” verso la città, comporta lo spostamento anche di burocrati, artigiani e contadini e al conseguente aumento della popolazione, dello sviluppo del commercio e delle varie attività, perché i signori spendevano molto e facevano girare l’economia. A causa del sempre maggior numero di persone che vi giungevano, pian piano venivano creati nuovi quartieri per tutte le nuove classi sociali, mentre i samurai erano nelle zone interne vicino al castello. Edo in poco tempo si trasforma in una delle più vivaci città del Giappone, nonostante una serie di provvedimenti legislativi dello shogun, tra il 1635 e il 1639, volti a isolare il paese dal resto del mondo e culminati con il regime di Sakoku (paese in catene), dove viene proibito l’accesso agli stranieri su tutto il territorio nipponico, fatta eccezione per il porto di Dejima concesso agli olandesi e Nagasaki ai cinesi, mentre ai giapponesi fu vietato espatriare, pena la morte. A dispetto della chiusura, raggiunge l’apice del suo sviluppo culturale, politico ed economico nel cosiddetto periodo Genroku, dal 1688 al 1704, dove nasce e si costituisce la borghesia cittadina, si rafforzano i commerci interni e si formano lo spirito e il carattere nipponici. La società, già dal 1591, è rigidamente divisa in classi sociali ed è vietato il cambio di status: secondo i criteri della dottrina confuciana, i cittadini si dividono in guerrieri (bushi), contadini (nomin), artigiani (kosho) e mercanti (shonin) e a seguire gli hinin, gli impuri, i non umani, cioè coloro che per lavoro entravano a contatto col sangue come macellai e pellai, vagabondi, mercanti ambulanti e prostitute.
Il simbolo della città era il castello che viene ristrutturato da Ieyasu nel 1593 e terminato da suo nipote Iemitsu nel 1636. Non è una struttura creata ex novo, perché viene estesa la precedente fortezza costruita da Ota Dokan nel 1457, colui che pose fine alla prima dinastia di Edo, insediatasi nella città a fine XII secolo nella figura di Edo Shigetsugu. I lavori per il nuovo castello durarono molto, in particolare la realizzazione delle mura lungo i fossati. Per costruirle gli shogun chiamarono al lavoro i propri daimyo, che così facendo dovettero dimostrare fedeltà al loro signore. Da tutto il Giappone arrivarono con i loro uomini per partecipare all’enorme progetto, giungendo addirittura da Kumamoto, nell’isola di Kyushu, nell’estremo ovest del paese. Il clan della città, gli Hosokawa, che erano una delle famiglie più importanti del paese, diedero uno dei più grandi contributi nell’erezione della cinta muraria, dove ancora oggi è inciso su alcune pietre, il loro stemma (mon). I lavori si svolgevano assegnando ad ogni signore una porzione di mura, dove si scavava il canale che avrebbe ospitato il fossato e accanto al quale sarebbe sorta la parete. Fu un lavoro che durò anche due anni, a causa di cedimenti del terreno, che vide erigersi una fortificazione di pietre squadrate lisce provenienti dalle cave di tutto il paese, per un totale di centinaia di migliaia. Il castello venne esteso nel 1659 con l’aggiunta della torre di guardia Fujimi-yagura per proteggere il lato sud del complesso. In pieno periodo Tokugawa il castello raggiunse un perimetro di 8 km, mentre il complesso esterno raggiunse i 16 km, trasformando la struttura nella più grande del Giappone. Il castello purtroppo venne distrutto da un incendio nel 1873, di cui rimane solo la base fortificata in pietra e nel 1888 vengono costruiti nei pressi i nuovi edifici che costituiranno la residenza imperiale, cioè l’attuale palazzo, chiamato Kyuden.
Altro elemento importante della vecchia Edo era il Nihonbashi, il “ponte del Giappone”, sul fiume Sumida, costruito nel 1603 ed era il punto di partenza per misurare le distanze nell’intero paese, dove convergevano le principali strade che portavano in città da tutto il Giappone, come l’antica Tokaido, proveniente da Kyoto e modificata successivamente per farla transitare anche da Osaka. Era il centro dell’alta finanza, dove abitavano i samurai e intorno al ponte si svilupparono le principali attività commerciali, alimentari e di abbigliamento, con i principali santuari e templi. Oggi è nascosto dalla fitta rete autostradale, ma nella zona rimangono i grandi magazzini insieme a piccoli negozi, fondendo l’antico con il moderno e i luoghi religiosi con gli edifici in cemento.
Ultima parte ancora visibile sono i giardini Rikugien, progettati nel 1695 da un alto aristocratico e realizzati su una collina artificiale, un laghetto centrale e molti sentieri, dove si possono ammirare i ciliegi in fiore e gli splendidi colori autunnali, con poesie antiche incise nelle pietre.
La vecchia Edo si presentava come una distesa di case in legno e carta, con tegole in terracotta color piombo, con strade ampie e vicoli stretti, dove man mano che ci si avvicinava al castello, apparivano dimore signorili. Come tutte le abitazioni dell’epoca e in ogni tempo in Giappone, erano fabbricate con questi materiali, anche se si conosceva l’uso della pietra, ma in un paese con frequenti terremoti, edificare con quella era inutile e dispendioso. Il legno e la carta erano economici e facilmente reperibili, ma avevano un problema importante: prendevano fuoco facilmente. E proprio gli incendi furono il più grande problema di Edo, in un paese ormai pacificato e privo di conflitti, la città dovette fare i conti con il fuoco. Riporto qui il più grande incendio della storia del paese, senza contare disastri successivi di altra entità, cioè l’incendio di Meireki (Meireki no Taika). Iniziò il 18° giorno dell’era Meireki, cioè il 18 gennaio 1657, dopo un periodo di poche piogge ed aria molto secca e durò per ben tre giorni, incenerendo il 60-70% della città e facendo tra gli 80 e i 100.000 morti.
Scoppiato nel quartiere Honga, a causa dei forti venti, in pochi secondi si propagò per la città, inghiottendo tra le fiamme tutto ciò che incontrava e in alcune testimonianze di sopravvissuti, si fa menzione di alti turbini di fuoco che si alzavano verso il cielo e che ora sappiamo essere dei tornado di fuoco che si formano quando le fiamme incontra un turbine di vento e prende lo slancio verso l’alto, seguendone il corso. Viene definito anche “la lunga manica del furisode” (un kimono a manica lunga), Furisode no kaji, perché si dice sia iniziato durante un rito di esorcismo, durante il quale il sacerdote bruciò un furisode maledetto, ma il fuoco sfuggì al controllo e scatenò il disastro. All’origine del rito vi è una leggenda che narra della veste appartenuta ad una fanciulla che per amore si suicidò. Dopo la sua morte l’abito venne portato al tempio, secondo le usanze buddhiste. I monaci lo diedero poi ad un’altra ragazza, che improvvisamente si ammalò e morì. L’episodio si ripete con altre due fanciulle e perciò si decise di portare il furisode al tempio per bruciarlo, ma poco dopo una forte folata di vento alzò una lingua di fuoco che intaccò l’edificio a fianco, scatenando in pochi secondi il disastro. Nonostante a presenza di un corpo di vigili del fuoco, gli hikeshi, creati 21 anni prima e ancora inesperti, non si riuscì ad evitare il tragico epilogo. L’incendio colpì il quartiere degli alleati dello shogun, si diresse verso il castello e poi si propagò verso sud, dove soltanto al terzo giorno le fiamme finalmente si estinsero, ma il fumo e le ceneri, condannarono gran parte dei sopravvissuti. Edo venne ricostruita completamente in due anni, riorganizzando i quartieri e usando i soldi per aiutare i cittadini più poveri, lasciando per ultimo il castello. La città venne ripianificata con l’aggiunta di barriere frangi fuoco, cioè delle zone strategiche lasciate vuote, che servivano a rallentare le fiamme e dare il tempo ai cittadini di mettersi in salvo. Oltre a questo, le case costruite
con materiali economici, venivano distrutte per bloccare l’avanzare del fuoco, cosa che i cittadini offrivano volentieri, perché sapevano che una volta estinto l’incendio, le abitazioni venivano ricostruite uguali e in maniera gratuita. Questo fu possibile perché a est del Sumida, venne realizzato una sorta di magazzino, che conteneva sia scorte di riso, sufficienti per sfamare ogni individuo per mesi, sia il legname e le tegole per ricostruire gli alloggi, a cui tutta la comunità partecipava. Per completare il sistema di sicurezza, venne rinnovato il corpo dei vigili del fuoco, rinominato Machi-bikeshi, da Oda Tadasuke, che arruolò cittadini volontari divisi in 47 gruppi, a cui a ognuno veniva assegnata una zona di Edo. I pompieri non dovevano spegnere il fuoco come facciamo oggi, ma impedire il propagarsi delle fiamme, distruggendo gli edifici per bloccarle il più tempo possibile. Stavano di guardia a turno 24 ore su 24 e appena scoppiava un incendio, suonavano un’apposita campana come allarme. Così facendo, nonostante i numerosi incidenti che colpirono la città nei secoli successivi, grazie anche al nuovo impianto urbanistico e allo spirito di collaborazione dei cittadini, non ci fu più nessun disastro paragonabile a quello del 1657 e Edo risorse sempre con maggior forza e ricchezza dalle proprie ceneri. La tradizione dei Machi-bikeshi continua ancora oggi, quando sfilano per le vie di Tokyo con le loro scale di bambù e si esibiscono in spettacoli acrobatici, mentre i loro capi si riuniscono ogni anno sancendo il rinnovo dell’usanza con un particolare rito, dove ogni membro beve del sakè da una ciotola in comune.
Edo e tutto il paese vissero nel periodo Tokugawa un’era di pace e prosperità, che rivive ancora oggi ammirando le Ukiyo-e, immagini “del mondo fluttuante”, le xilografie prodotte proprio durante quest’epoca e che ci regalano uno spaccato delle tradizioni, della vita e dei costumi del Giappone antico. Il declino dei Tokugawa si ebbe nella seconda metà del XIX secolo, quando scoppiarono disordini interni, definiti Bakumatsu (fine della catena), che culminarono con la guerra Boshin del 1868-1869, che vide contrapporsi le forze alleate dell’ultimo Tokugawa e le forze filo-imperiali. Lo shogun si arrese nel gennaio del 1868 e il regime crollò definitivamente tra il maggio e il luglio 1868, quando gli ultimi suoi sostenitori vennero catturati in Hokkaido. Con la vittoria delle forze imperiali, il sovrano Mutsuhito, allora sedicenne, tornava padrone del Giappone, spostò la capitale da Kyoto a Edo, che venne ribattezzata Tokyo, “capitale orientale”, dove trasferì tutta la corte, che vi abita tutt’ora e dando inizio a quell’epoca conosciuta come “Restaurazione Meiji”, che durerà fino al 1912 e che segnerà l’ingresso del paese nell’era moderna, seppellendo fino ad oggi l’antica città e lo spirito dei suoi Eddoko, i figli di Edo, sotto una coltre di cemento.
Oggi la vecchia Edo continua ad essere presente, scoperta e tutelata e la si può ammirare ricostruita nel quartiere Koto che ospita il Museo Fukugawa Edo, che conserva il modello di un’antica via della città a grandezza naturale, oggetti, abiti e altre testimonianze del passato, che si possono ritrovare anche a spasso per i quartieri di Ueno e Asakusa.
Deborah Scarpato
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