Situata in un boschetto a Castelseprio, in provincia di Varese, la chiesa di S. Maria Foris Portas custodisce al suo interno alcuni dei più begli affreschi altomedievali.
Risalente al VII-VIII secolo o forse al secondo quarto del IX, ospita anche la tomba di un giurista milanese, Gian Piero Bognetti, docente universitario di storia del diritto, studioso dei Longobardi.
Per capire meglio l’origine della chiesa e degli affreschi, facciamo un salto indietro all’epoca delle invasioni barbariche. Nel nord Italia a partire dal 568 si stanziarono i Longobardi, originari dell’Europa dell’est che scalzarono gli Ostrogoti dalla zona. A differenza loro, avviarono un processo di romanizzazione, in quanto già cristiani, anche se appartenenti al credo ariano. In quel periodo, Castelseprio divenne un centro militare importante: situato su un’altura della valle dell’Olona, fortificato, controllava uno degli snodi principali di comunicazione tra la Lombardia e la Germania, e un territorio dal lago Maggiore a quello di Como, alle valli d’Intelvi e fino ai fiumi Seveso e Ticino.
Era il capoluogo della Giudicaria Longobarda di Seprio ed ebbe un ruolo fondamentale fino al IX secolo, quando iniziò a subire l’espansione milanese. Nello stesso periodo, i Conti di del Seprio, una famiglia franco-longobarda, ottennero il controllo della contea fino al 1044, quando venne annessa a Milano. Successivamente in pieno Medioevo, nel 1200, la città era in mano ai Torresi, rivali dei Visconti. In una notte del 1287 assaltarono la città e, aiutati da dei traditori, riuscirono a sconfiggerla. Ottone Visconti diede l’ordine di radere al suolo la cittadina e di non costruire più nulla sull’altura, lasciando fuori dalla sua furia soltanto la Chiesa di S. Maria, che così si salvò dalla distruzione. Nel 1944 un team di studiosi organizzò una spedizione proprio in questi luoghi e con loro chiamarono Bognetti, che volle fortemente entrare nella chiesa e scoprirono sotto alcuni affreschi del ‘400, questo ciclo di dipinti.
Sono una testimonianza storica molto importante dei secoli VIII e IX e sono l’emblema della conversione dei Longobardi al cattolicesimo, abbandonando la loro già citata fede all’arianesimo (l’arianesimo è una variante del cristianesimo, nata ad Alessandria d’Egitto dalla predicazione di Ario un prete della città, condannata come eresia dal concilio di Nicea del 325, perché sostenitrice della tesi che Cristo essendo stato generato da Dio, fosse inferiore al Padre e non fatto della sua stessa sostanza).
Il ciclo di affreschi rappresenta il cosiddetto Credo di Nicea, cioè il Credo che recitiamo ancora oggi durante la liturgia. Al centro vi è la rappresentazione del Cristo Pantocratore e attorno si sviluppano su due registri, le scene dell’Annunciazione, della Visita, della prova dell’acqua amara, del sogno di Giuseppe, del Viaggio a Betlemme, della Natività dell’adorazione dei Magi e della presentazione al Tempio e dietro all’arco di trionfo l’etimasia. Il terzo registro in basso reca delle scene di arcate chiuse da velari appesi ad un’asta con dei volatili e un seggio coperto da un drappo dove sopra è poggiato un libro.
Alcune parti della narrazione si basano sui Vangeli canonici, ma la maggior parte proviene dal Proto Vangelo di Giacomo o Vangelo dell’infanzia di Giacomo, un apocrifo molto famoso in Oriente.
Probabilmente, grazie alla sua ricchezza di dettagli, l’esaltazione della verginità di Maria e la sua prosa quasi fiabesca, risultava adatto ad essere tradotto in immagini.
Purtroppo mancano due scene che sono andate perdute, tolte nel 1300, per far spazio ad altre pitture. Possiamo però ipotizzare, seguendo la narrazione, che le parti mancanti siano quelle della strage degli innocenti e della fuga di Maria ed Elisabetta oppure, vista la posizione a lato di Gesù, l’infanzia di Maria, la sua presentazione al tempio o lo sposalizio con Giuseppe.
La scena centrale è rappresentata dalla figura del Cristo Pantocratore, cioè benedicente. Tema molto diffuso in oriente, raffigura la natura divina di Gesù presentato con la mano destra alzata in benedizione e nella sinistra il rotolo del Nuovo Testamento.
Gli affreschi si aprono con la rappresentazione dell’Annunciazione, dove vediamo Maria sulla sinistra seduta su uno scranno, intenta a filare e ai suoi piedi un gomitolo di filo rosso e una brocca. La scena è ambientata all’esterno dell’abitazione, che si può scorgere alle sue spalle. Sulla destra si trova l’Angelo venuto a darle la notizia della maternità divina, con i colori quasi cancellati dal tempo, da farlo sembrare quasi uno schizzo. A fianco, anche se danneggiata gravemente, abbiamo la raffigurazione della visita di Maria a Zaccaria. Anche qui siamo all’esterno della casa e s’intravede Elisabetta che le sta di fronte e ascolta il suo annuncio.
Di seguito troviamo la scena della prova dell’acqua amara. Era un “rito” presente nel Libro dei numeri dell’Antico Testamento, mentre nei Vangeli canonici non se ne fa menzione e veniva usato dai sacerdoti per ottenere la prova dell’adulterio delle donne. Consisteva nel fargli bere dell’acqua da una fonte e, se risultavano colpevoli, prendeva un sapore amaro e sarebbero diventate deformi.
Nella scena vediamo Maria sulla sinistra bere direttamente dalla brocca che reca il sacerdote di fronte, vicino ad una fonte e sullo sfondo un’architettura che ricorda l’interno di un Tempio. Lei e Giuseppe furono sottoposti a questa prova perché accusati di aver avuto rapporti che loro si ostinavano a non voler confessare.
La narrazione continua con il sogno di Giuseppe, anche dovrebbe essere antecedente alla prova dell’acqua amara. Al centro troviamo Giuseppe disteso sullo sfondo di una camera da letto, mentre da sinistra arriva l’Angelo ad annunciargli la natura del figlio di Maria. Nell’immagine è presente una didascalia che indica il nome del personaggio raffigurato, “IOSEPH”.
La scena successiva raffigura il viaggio verso Betlemme. Vediamo sullo sfondo la porta di una città dalla quale sono usciti Giuseppe con Maria davanti seduta su un mulo, guidato da un personaggio quasi del tutto scomparso. Secondo la fonte di provenienza del racconto, possiamo identificarlo con il figlio di Giuseppe, avuto dal precedente matrimonio. Si avviano in un paesaggio desertico ed è l’affresco più bello di tutto il ciclo per lo scambio di sguardi tra Maria e Giuseppe. L’intensità dell’espressione della Madonna racchiude tutta l’emozione del momento e del futuro, dettata dalle visioni che le fanno alternare momenti di gioia a quelli di tristezza. Il volto pensieroso è da attribuire anche alla preoccupazione per l’imminente parto del suo primo figlio.
Troviamo poi la scena più complessa di tutte: la Natività. La scena si svolge all’interno di una grotto e vede Maria distesa sulla sinistra appena dopo il parto, con a fianco una levatrice che le tende la mano. Sotto di loro troviamo la levatrice che lava il bambino e spostandoci verso destra, Giuseppe seduto in attesa e l’Angelo, su uno sfondo cittadino, che annuncia la lieta novella ai pastori. Sono presenti due didascalie che identificano i personaggi più importanti: S(an) C(t) A MARIA e IOSEPH.
Qui viene rappresentata una scena molto rara nell’iconografia cristiana: la lavanda del bambino, proveniente da una leggenda derivante da un apocrifo. Un’altra cosa “insolita” è la presenza delle levatrici, in quanto secondo il Protovangelo di Giacomo sarebbero state due, una che annuncia il parto di una vergine e l’altra di nome Salomè, che appena sentita la notizia, si precipita a verificare di persona e nel farlo la mano si essicca e si stacca. Questa versione venne subito smentita da San Girolamo che sostiene invece che Maria abbia fatto tutto da sola.
Infine in alto a sinistra troviamo il bambino nella mangiatoia tra il bue e l’asino, altro elemento derivato dall’apocrifo di pseudo-Matteo.
Dopo la nascita vediamo la scena dell’Adorazione dei Magi. Ambientata all’interno di una grotta (mentre nel Vangelo “originale” di Matteo, avviene in una casa), troviamo Maria sulla destra che mostra il bambino ai Re Magi che offrono i loro doni. Le figure della Madonna e di Gesù sono molto consumate e ci rimangono ritratte come fossero uno schizzo veloce.
L’ultima scena è la presentazione di Gesù al Tempio. Sullo sfondo di un Tempio, troviamo il vecchio sacerdote Simeone curvo e con la lunga barba che posa il suo velato sguardo su Gesù, tenuto in braccio da Maria seguita da Giuseppe. Sotto vi è una didascalia che reca l’iscrizione ZVMEON o
ZYMEON, nome dell’ufficiante.
Parte del ciclo degli affreschi, è l’etimasia dal greco “preparazione” che si trova dietro all’arco di trionfo. Rappresentata da un trono vuoto sormontato da un libro, è il posto in cui siederà Cristo nel giorno del Giudizio Universale. Ai lati vi sono due Angeli che recano con una mano una lancia e con l’altra un globo con la croce.
Questi affreschi sono opera di un misterioso Maestro, probabilmente di origine orientale. Molti elementi ci conducono a questa ipotesi: la presenza del Cristo Pantocratore, l’etimasia, lo stile e le
fattezze dei personaggi e le iscrizioni nelle scene che sono scritte con l’alfabeto greco che era allora la lingua dell’Impero bizantino.
Non sappiamo neanche come mai un artista di quella provenienza si trovasse in questi luoghi, ma forse il duro periodo dell’iconoclastia e le conseguenti persecuzioni, lo portarono ad emigrare e venne accolto dai Franchi, grandi ammiratori dell’arte classica.
Il suo stile denota una notevole maestranza nell’uso della prospettiva e dello scorcio, del realismo di persone e animali e nella realizzazione del drappeggio delle vesti, con un sapiente uso del chiaro- scuro. Vi è un grande senso dello spazio, una freschezza di tratto e un’impronta romano-ellenistica che ci porta a datare gli affreschi tra il VI e il VII secolo. Secondo altri elementi invece, come la dimensione drammatica e il carattere emotivo dei protagonisti, li si data al secolo successivo, con la riscoperta del mondo ellenistico da parte dei Carolingi.
Chiunque sia lo sconosciuto autore, ci ha lasciato una delle più belle produzioni artistiche dell’arte
alto medievale.
Per chi fosse interessato a vedere gli affreschi dal vivo, a chiesa di S. Maria Foris Portas si trova all’interno del parco archeologico di Castelseprio e Torba, in provincia di Varese.
di Deborah Scarpato
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