Raffaello. Un dio mortale
“Raffaello ha solo dipinto. Non è stato un uomo complesso come Leonardo, un pensatore curioso di tutto; non è stato come Caravaggio, un ‘maledetto’ che vive una vita piena di contrasti; non è stato un artista come Michelangelo, pittore, scultore, poeta, architetto. Raffaello ha dipinto soltanto. E ogni volta ha inventato un capolavoro. I pittori, come il suo maestro Perugino, tendono a ripetersi, a riprodurre un
modello, hanno un archetipo di riferimento. Lui no. Ogni volta inventa un’immagine nuova. Opere che la critica disconosce sono di Raffaello: sono opere diverse da quelle che ci aspettiamo, perché Raffaello non è solo Raffaello, è anche Giorgione, è Caravaggio, è Michelangelo, è Parmigianino. Lui è tutto: nessuno è ‘più tutto’ di lui. Quello che ha fatto Raffaello è un prolungamento della creazione di Dio e della bellezza del mondo, una bellezza assoluta, senza limiti.”
Con queste parole, Vittorio Sgarbi presenta il suo nuovo libro su uno dei maestri del Rinascimento, il migliore, tanto da essere paragonato a un dio. Un artista che ha saputo catturare tutte le novità del suo tempo, le ha fuse, le ha assorbite, per creare opere uniche e capolavori che hanno saputo attraversare i secoli e giungere fino a noi, più attuali che mai.
Seguendo il racconto di Giorgio Vasari, Vittorio Sgarbi compone il suo racconto di Raffaello, dal commovente rapporto con il padre e la madre, al magistero di Pietro Perugino, dagli affreschi delle Stanze Vaticane fino al torbido amore per la Fornarina che destabilizzò la sua calma olimpica. E ogni volta il noto critico percorre la fitta rete di legami con i pittori del suo tempo: l’ammirazione per Leonardo, il rapporto
contrastato con Michelangelo, l’amicizia con Bramante.
Raffaello, un artista unico, che ha saputo rendere vive le sue opere con le sue pennellate, una capacità rara che gli ha permesso di realizzare l’impossibile. E forse, proprio perché è giunto fino a lì, a un livello superiore e inaccessibile ad altri, che morì a soli 37 anni. E oltre a questo libro, ciò che Raffello fu davvero, è racchiuso nelle ultime due righe del suo epitaffio, nel Pantheon, composto probabilmente dal grande
umanista Pietro Bembo:
«ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI
RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI»
«Qui è quel Raffaello, dal quale la natura credette di essere vinta, quando era vivo, e di morire, quando egli moriva.»
L’editoriale
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