Oggi andremo a scoprire una parte di Padova che dal 2021 è diventata, come il resto della città, patrimonio UNESCO. Tutti conoscono la celeberrima Cappella degli Scrovegni, affrescata da Giotto a inizio ‘300, ma Padova cela molte altre meraviglie, che vi presenterò con una serie di articoli. Cominciamo dalla Cappella di S. Giacomo, all’interno della Basilica di Sant’ Antonio, nella parte destra del transetto, in corrispondenza della Cappella che contiene le spoglie del santo nel lato opposto. Riportata in auge da recenti restauri, è stata costruita dall’architetto e scultore veneziano Andriolo de’ Santi nel 1372 e terminata dal figlio Giovanni nel 1377. In seguito, viene affrescata da Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi, suo aiutante, tra il 1374 e 1377, su ordine di Bonifacio Lupi di Soragna, ambasciatore tra il 1372 e 1376 di Francesco I Il Vecchio da Carrara, signore di Padova. Prima di andare a “vedere” la cappella, presentiamo coloro che hanno reso Padova “una città dipinta” e l’hanno proiettata tra le più importanti città del Trecento italiano (manca Giusto de’ Menabuoi, ma sarà protagonista di uno dei prossimi articoli).
Colui che fu protagonista dell’apogeo culturale e artistico della città fu Francesco I, detto Il Vecchio, da Carrara, che ospitò illustri letterati, come Francesco Petrarca e pittori come Altichiero, Giusto de’ Menabuoi e Guariento. Appartenente alla famiglia dei da Carrara, trasferitasi a Padova nel 1318, dopo varie lotte, s’impossessò della città per poco tempo, riconquistandola in maniera definitiva nel 1337, con Marsilio da Carrara. I successori consolidarono il potere nei decenni seguenti, finché nel 1355 Francesco I si pose alla guida della casata insieme allo zio Iacopino, e iniziò a governare da solo a partire dall’anno seguente. Si adoperò molto in campo culturale, mentre in politica non ebbe molta fortuna, a causa degli scontri con gli Scaligeri di Verona, con i Visconti e soprattutto con i Veneziani. Nel 1388, dopo aver conquistato alcuni territori a danno della Repubblica veneta, si ritirò a Treviso, ma una sommossa popolare, fomentata dai lagunari, lo costrinse a lasciare la città e finì prigioniero nelle mani dei Visconti. Morì a Monza nel 1393, lasciando la sua signoria al figlio Francesco II, uno degli ultimi membri della casata insieme ai figli, che dopo la loro morte, si estinse nel 1406.
Cappella di San Giacomo, Basilica di Sant’ Antonio
Una delle maggiori personalità della seconda metà del Trecento italiano fu Altichiero da Zevio. Chiamato anche Aldighieri, Aldigheri o Aldigeri, figlio di un certo Domenico da Zevio, fu un pittore veronese, la cui origine è testimoniata e confermata da Biondo da Forlì. Dell’artista si hanno poche notizie, relative al periodo della sua attività a Padova e Verona, tra il 1369 e il 1379, con un’ultima apparizione nel 1384. Anche la sua formazione rimane incerta e quasi totalmente sconosciuta, si pensa si sia formato in ambiente lombardo, forse milanese, e abbia tratto ispirazione dagli affreschi di Tommaso da Modena a Treviso. Nonostante le scarse informazioni, ciò che lui ha lasciato, soprattutto a Padova, fa di lui uno dei maggiori pittori del secondo Trecento, tanto che molti lo definiscono “il più geniale pittore del periodo”. Fu attivo a Verona, dove di lui rimangono solo un affresco a S. Anastasia e le perdute Storie della guerra Giudaica nel palazzo degli Scaligeri, e a Padova, con gli affreschi della cappella di S. Giacomo, dell’Oratorio di S. Giorgio, della tomba Dotto degli Eremitani e degli Uomini Illustri nel Palazzo dei carraresi, dei quali rimangono solo i primi due cicli. Infine, colui che patrocinò i lavori della cappella di S. Giacomo al Santo, è il marchese Bonifacio Lupi di Soragna, originario dell’omonimo paese in provincia di Parma, fu un personaggio di spicco nella Padova dell’epoca, per la sua vicinanza a Francesco I. Inoltre, fu ambasciatore in molte città dell’Italia settentrionale ed era molto conosciuto per i suoi incarichi diplomatici. Decise di farsi costruire una cappella nella chiesa del Santo e dedicarla a S. Giacomo, a cui era molto devoto e, paragonando le storie del martire con la sua famiglia, voleva valorizzarne il passato glorioso.
La cappella, inizialmente, doveva essere dedicata a S. Michele, ma venne intitolata a S. Giacomo (e poi a San Felice per le spoglie dell’omonimo pontefice portate qui nel 1503), oltre che per la devozione personale di Bonifacio, anche perché si pensa fosse membro dell’Ordine della Milizia di San Jacopo, molto potente in Spagna, ma documentata a Padova proprio negli anni in cui visse il marchese. Potrebbe essere, quindi, un omaggio fatto alla milizia per celebrarla. I documenti per i lavori furono redatti non da un personaggio qualunque, ma da Lombardo della Seta, amico e discepolo del Petrarca, che stilò il contratto tra il marchese e l’architetto e scultore veneziano Andriolo de Santi. La costruzione termino nel 1375, dopo la morte dell’artista, completata dal figlio Giovanni nel 1377. Si trova nella parte del transetto e si presenta con una facciata in marmi policromi, che si apre verso l’altare con cinque archi a sesto acuto trilobati, che reggono la struttura. Gli archi sono posti su colonne in marmo rosso con capitelli classici e sottolineati da una cornice intrecciata, e tra essi, spiccano delle rose scolpite in rilievo. La parte superiore è decorata con un elegante disegno in marmo bianco e rosso che termina in una cornice spezzata, richiamando le cuspidi delle cinque edicole che accolgono altrettante sculture nella facciata. Le statue, in marmo bianco, rappresentano Pietro, l’Arcangelo Michele, Giacomo, Paolo e Giovanni Battista, alternati dagli stemmi dorati della famiglia Lupi. Infine, la cappella presenta anche un pavimento in marmo a intarsi policromi, che crea un elegante gioco di geometrie e di colori.
Interno della cappella di San Giacomo
È a pianta rettangolare e sullo sfondo son ripresi gli archi dell’entrata, che incorniciano gli affreschi all’interno, mentre ai lati troviamo due sarcofagi, quello a sinistra, sorretto da leoni, di Guglielmo de Rossi e quello a destra, sorretto da lupi, di Bonifacio, il tutto coperto da tre volte a crociera. La cappella presenta un ricco programma iconografico che si snoda su due registri: quello superiore, in cui sono rappresentate le Storie di San Giacomo, mentre il registro inferiore presenta diversi episodi, come il Sogno di Ramiro, il Consiglio della Corona, la Battaglia di Clavigo, la Crocifissione, il Compianto di Cristo, la Pietà e infine Maria in trono tra i committenti. A concludere il ciclo, sul pilastro a sinistra, c’è la Fenice, probabile allusione del proprietario alla speranza della vita eterna.
Continua nella seconda parte
Deborah Scarpato
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